A scoprire la Cina, tra i primi occidentali, fu un mercante ebreo anconetano, e non Marco Polo. E lo fece anche con 4 anni di anticipo sul collega veneziano.
Sembra un’eresia se detta e letta così, ma il caso (nonché il dubbio) è sorto circa venti anni fa quando venne alla luce un antico (si presume) manoscritto a firma di Giacobbe d’Ancona, mercante ebreo che risiedeva ad Ancona, pubblicato poi in Inghilterra (e oggi anche in America, ma non in Italia) e dal titolo:
“The City of Light: The hidden journal of the man who entered China four years before Marco Polo”.
Giacobbe d’Ancona, anziano e barbuto commerciante ebreo, sembra dunque essere l’autore del diario del viaggio in Cina effettuato nel 1271 che, alcuni esperti, riterrebbero più attendibile di quello scritto da “Messer Milione”, Marco Polo.
Giacobbe D’Ancona, salpato proprio dal porto dorico, non sembra comunque essere una mera leggenda o voce di paese se si pensa che su di lui vi ha scritto anche il quotidiano New York Times, dedicandogli l’apertura della sua pagina internazionale nel 1997.
Il libro, al momento non reperibile in Italia, è però facilmente acquistabile su internet ma solo in lingua inglese, ed una copia è anche alla Biblioteca Benincasa.
In tutte le edizioni pubblicate e ristampate all’estero si legge inoltre come: “The City of Light is the journal of the travels of Jacob D’Ancona, a 13th century pious Jewish merchant. Readers follow Jacob on a three-year journey, starting from his hometown of Ancona in present-day Italy, overland through Damascus and Baghdad, and then by sea, stopping at various ports and places until he reaches the city of Zaitun, modern-day Quanzhou, where he stays to buy goods and talk to the scholars of the city”.
Tramite le pagine del diario di Giacobbe, si legge quindi che nel 1270 questo mercante ebreo partì proprio da Ancona per arrivare l’anno dopo in Cina, nella città di Zaitun, detta anche “Città della Luce” ed oggi conosciuta come Quanzhou. Tutto ciò avvenne quattro anni prima che Marco Polo arrivasse a Xanadu, nel 1275.
Nulla si era mai saputo su questo viaggio fino a quando, nel 1990, venne fuori il manoscritto di Giacobbe d’Ancona sventolato ai quattro venti da David Selbourne, uno stimato docente di Oxford, che l’aveva ottenuto da un italiano.
Un manoscritto “straordinario” che era stato nascosto alla vista di ricercatori e studiosi per più di sette secoli per poi essere tradotto e curato dallo stesso Selbourne e pubblicato in Inghilterra nell’ottobre del 1997 con il titolo “City of Light”.
Selbourne, nell’ereditare il manoscritto, in cambio si era impegnato con il proprietario di questo giurando che non ne avrebbe mai rivelato il suo nome né fornito l’originale o sue fotocopie ad altri.
Dalla pubblicazione del diario di Giacobbe D’Ancona in molti però hanno dovuto ammettere come questo fosse più particolareggiato rispetto al diario di viaggio di Marco Polo che, a detta di alcuni, sembrerebbe essere più un insieme di appunti di terzi che non di un’unica persona.
Anche il Corriere della Sera del 22 settembre 1997 dedicò un lungo articolo al caso di Giacobbe D’ancona.
“[…] L’odissea di Giacobbe, figlio di Salomone d’Ancona – scriveva la giornalista Alessandra Farkas sulle pagine del quotidiano di via Solferino -, inizia nell’agosto 1271, quando la sua caravella salpa nell’affollatissimo porto di Zaitun (da cui nasce la parola satin) nel sudest della Cina, allora la società più ricca e progredita del pianeta. Abbagliato da quell’esotica opulenza, Giacobbe annota le sue impressioni su un quadernetto. Dal racconto autobiografico emerge l’inedito ritratto di una Cina straordinariamente contemporanea, vessata da materialismo, pornografia, crimine e promiscuità sessuale.
“Non si inchinano più ad onorare gli avi – si lamenta un anziano ‘maestro’ – oggi i giovani, maschi e femmine, sono in stato di costante desiderio”. Persino il femminismo fa capolino tra le pagine di Giacobbe. Dopo aver ingaggiato una coppia di interpreti, fratello e sorella, il commerciante licenzia quest’ultima perché predica il femminismo e l’amore libero. Con lo stesso autentico stupore descrive l’avanzatissimo sistema cinese di stampa a caratteri movibili in legno, le banconote di carta, i quotidiani distribuiti gratis per strada, il primo, rudimentale lanciafiamme e persino una florida industria editoriale dedita alla pornografia.
L’unico problema del manoscritto è la credibilità. Il testo originale è stato affidato dall’anonimo proprietario italiano al 60enne David Selbourne, rispettato docente di Oxford che ha accettato l’incarico con l’impegno di non diffondere mai l’identità del proprietario, né mostrare il manoscritto ad altri studiosi. A convalidarne l’autenticità è però l’inglese Frances Wood, una delle più autorevoli studiose di storia medievale cinese, autrice di un libro secondo cui Marco Polo non ha mai messo piede in Cina, limitandosi a scopiazzare le guide persiane (il che spiegherebbe come mai usa i nomi persiani delle città cinesi invece di quelli autentici).
“Il viaggio via mare di Giacobbe è molto più plausibile di quello via terra di Marco Polo”, spiega la Wood. Ad avvalorare la tesi è il fatto che, mentre Marco Polo ignora completamente usanze cinesi quali il the e i piedi fasciati delle donne, Giacobbe ne parla profusamente. Il motivo per cui il manoscritto è rimasto segreto per tanti secoli? “Il suo tono profondamente anticristiano – risponde Selbourne – col suo libro Marco Polo corteggiava fama e onori, mentre Giacobbe rischiava la persecuzione”.
Un altro ITALIANO in CINA 4 anni prima di MARCO POLO
