Quello delle Amazzoni è uno dei nostri miti più antichi e potentemente ambigui. La persistenza della sua influenza sulla psiche occidentale è tale che, quando gli spagnoli, nel 1542, navigarono un immenso fiume in Sud America riportarono avvistamenti di Amazzoni e il fiume, infine, acquisì il loro nome.
Poi, per circa 500 anni, niente.
Le Amazzoni scivolarono silenziosamente nel regno della mitologia, dove sembrava dovessero rimanere.
Così fu finché un gruppo di archeologi, durante un lavoro di scavi nelle steppe euroasiatiche, fece una scoperta inaspettata.
Tra il 1992 e il 1995, un gruppo condotto da Jeannine Davis-Kimball, direttrice del Centro di Studi delle Civiltà Nomade Euroasiatiche nel Berkley in California, scavò un sito Neolitico di kurgans (tumuli sepolcrali) nei pressi di Pokrovka, al confine della Russia con il Kazakistan.
Nello scorso gennaio, Davis-Kimball pubblicò sulla rivista Archeaology un resoconto degli scavi in quella zona: un saggio documentato da mappe e fotografie descrivendo la sua testimonianza del passaggio nelle steppe di femmine guerriere circa 2500 anni fa.
Dentro ai kurgan, gli archeologi trovarono resti di entrambi i sessi, ma fu un gruppo di scheletri femminili che catturò la loro attenzione: donne straordinariamente alte per la loro epoca seppellite con pugnali e spade.
Disposta accanto a una giovane femmina c’era una faretra contenente quaranta frecce dal puntale di bronzo; lo stesso scheletro
presentava le ossa delle gambe arcuate probabilmente dovute a tutta una vita passata in sella.
Alloggiato sotto la gabbia toracica di un’altra c’era una punta di freccia piegata; testimonianza, forse, di una morte violenta in battaglia.
Il mito delle Amazzoni
