Le statue “Moai“, così come sono chiamate, furono scolpite tra il 1250 e il 1500 dC dal popolo polinesiano Rapa Nui che abitava l’isola. A fornire il materiale per la loro costruzione era la cava di tufo del vulcano Rano Raraku.
La statua più alta raggiunge i 10 metri e pesa 82 tonnellate.
Una leggenda dice che i Moai andassero da soli a posizionarsi vicino al mare. In effetti non si capiva come la popolazione avesse potuto trascinare le gigantesche sculture fino a che, nel 1955, venne dimostrato che, con corde e tronchi, un gruppo di dieci uomini poteva spostarne una in un paio di giorni.
Si pensa che i Moai non avessero una connotazione religiosa e che fossero semplici dispensatori di fortuna e prosperità. Essi rappresentavano gli avi degli indigeni che li avevano costruiti. Erano rivolti verso il mare per favorire la pesca, risorsa vitale per la comunità indigena.
Le statue e diverse rocce sparse nell’isola presentano tracce della lingua rongorongo che si esprime in “petroglifi” e la cui traduzione risulta ad oggi sconosciuta.
Numerosi tentativi sono stati fatti per decifrarlo e capirne la struttura, ma nessuno di questi ha avuto successo nell’interpretare il significato dei glifi. Se fosse confermato come forma di scrittura e fosse stato sviluppato dai nativi nell’isola di Pasqua prima dell’arrivo degli occidentali, il rongorongo sarebbe una delle poche invenzioni indipendenti della scrittura esistenti al mondo.
Molti glifi rappresentano forme umane, di animali, di piante, o forme geometriche astratte. Sul finire del 1800 il rongorongo scomparve.
Le tavolette furono distrutte in larga parte dai nativi stessi, che, non essendo più in grado di interpretarle, le usavano come legna da ardere o per fabbricare strumenti da pesca.
La distruzione delle tavolette e la scomparsa del rongorongo sarebbero la conseguenza delle epidemie e dei raid schiavisti compiuti dai peruviani a partire dal 1859, fino a quello più devastante del 1862, che avrebbero ridotto notevolmente la popolazione e ucciso gli ultimi nativi in grado di leggere e scrivere il rongorongo. Ad oggi sopravvivono solo 26 tavolette, solo la metà delle quali di origine autentica e in buone condizioni.
La maggior parte dei Ricercatori sostiene che il rongorongo non sia una vera forma di scrittura, ma piuttosto una proto-scrittura, o anche un sistema mnemonico più limitato per la genealogia, la coreografia, la navigazione, l’astronomia, o l’agricoltura.