La storia della sigaretta: tutto inizia con il viaggio di Colombo


Il primo fumatore europeo fu Rodriguez de Jerez, uno degli uomini di Cristoforo Colombo.
Nel novembre 1492, a bordo della Santa Maria, mentre stavano cercando l’imperatore cinese Hongzhi (ma erano invece a Cuba), osservarono per la prima volta il fumo degli indigeni, che facevano rotoli di palma e foglie di mais “alla maniera di un cono di carta” con tabacco all’interno. Si accendeva da un lato e si “beveva” il fumo dall’altro.
Tornato in Spagna a bordo della Niña, de Jerez introdusse il fumo nella sua città natale, Ayamonte, una piccola città nel sud-ovest della Spagna.
Pagò cara questa responsabilità storica: Il fumo che lo circondava spaventava i suoi vicini e l’Inquisizione spagnola lo imprigionò per le sue abitudini «infernali e peccaminose», perché “solo il Diavolo poteva dare a un uomo il potere di espirare fumo dalla sua bocca”.
Lo liberò solo dopo sette anni, quando ormai il fumo era già diventato abitudine consolidata nella regione.

Fu, tuttavia, un francese a dare l’impulso più fecondo alla diffusione del tabacco in Europa: si chiamava Jean Nicot ed era l’ambasciatore di Francesco II in Portogallo, dove era impegnato a negoziare le nozze tra la principessa Margherita di Valois e il re di Portogallo Sebastiano. Fu lui a inviare al re di Francia e alla sua consorte, Caterina de’ Medici, le foglie e i semi della pianta proveniente dall’America.
Il tabacco fu presentato da Nicot come medicamento efficace contro il morso dei serpenti, il raffreddore, il mal di testa, le vertigini e perfino la peste. I sovrani ne furono entusiasti, tanto da concedere a Nicot il titolo di signore di Villemain e da battezzare il vegetale «erba nicotina». Nicot tra l’altro curò l’edizione del Thrésor de la langue française (post., 1606), uno dei più antichi dizionarî francesi.
Si deve invece a un cardinale l’introduzione del tabacco in Italia: Prospero di Santacroce (1514-1589).
Similmente a quanto fece Nicot, quando era nunzio apostolico in Portogallo, il Santacroce inviò al papa Pio IV semi e foglie del tabacco. Ne divenne poi il principale importatore a Roma (dove venne chiamato appunto “Erba Santacroce”) realizzando ingentissimi guadagni.
Il primo oppositore del tabacco fu Giacomo I Stuart, re d’Inghilterra, Irlanda e Scozia, un monarca colto, grandemente esperto sia di teologia che di demonologia. Fu il primo grande personaggio a individuare nel tabagismo un vizio pericoloso per la salute. Esso era stato diffuso in Inghilterra da Sir Walther Raleigh, navigatore ed esploratore che aveva portato in Irlanda la pianta dalle nuove Indie. (Raleigh verrà fatto poi decapitare dal sovrano per aver cospirato contro di lui).
Giacomo I emanò una legge con cui proibiva l’uso della pianta aromatica e impose una pesantissima gabella sulla sua coltivazione.
In seguito alla prima campagna antifumo della storia, anche i medici francesi si consapevolizzarono sulla dannosità del tabacco, ma ormai gli interessi in gioco, il commercio e i monopoli nazionali rendevano impossibile sradicarne il consumo.

La guerra, poi, è sempre stata un altro grande sponsor del tabacco. Quella dei Trent’anni, che dilaniò l’Europa centrale fra il 1618 e il 1648 contribuì a diffondere fra i militari il suo utilizzo, da fiutare, masticare, o fumare nella pipa. Tuttavia, bisognerà aspettare il 1832 per veder nascere la sigaretta, quando, durante l’assedio di San Giovanni d’Acri, (l’attuale Acre in Israele) i soldati musulmani cominciarono a fumare del tabacco trinciato negli involucri di carta delle munizioni, privi ovviamente di polvere da sparo (le cosiddette cartucce). Il fumo cominciava quindi a essere inalato sempre più profondamente nei polmoni, portando la dipendenza da nicotina a livelli sempre maggiori.

Da allora, per quasi un cinquantennio, la produzione di sigarette fu realizzata a mano. Ogni operaio poteva produrne al massimo quattro al minuto. Durante la Guerra di Secessione (1861-’65), quando le esse cominciarono essere preparate col tabacco americano, più dolce e leggero, la domanda di sigarette crebbe all’inverosimile. Nel 1875, la casa americana Allen & Ginter, il più grande produttore dell’epoca, mise in palio un premio di 75.000 dollari per l’inventore di un congegno che le producesse industrialmente. James Albert Bonsack (1859 – 1924) cinque anni dopo, realizzò la prima efficiente macchina automatica per l’arrotolamento e la produzione di sigarette. Bonsack tendeva a noleggiare i propri apparecchi ai produttori, ma stranamente la Allen & Ginter declinò l’offerta, ritenendo che il pubblico non avrebbe gradito un prodotto non artigianale. Un errore clamoroso nella storia dell’industria: fu così che la fabbrica concorrente, quella di James Buchanan Duke, monopolizzò i brevetti di Bonsack e fondò la American Tobacco Company, certo che le persone avrebbero preferito le sigarette industriali a quelle artigianali: sarebbero state rollate in modo perfetto, oltre che molto più igieniche (non prevedevano infatti l’uso delle mani e della saliva).
Pare che Duke, dopo aver sfogliato un atlante mondiale per esaminare la popolazione di paesi stranieri. Arrivando alla cifra 430.000.000, esclamò: “È qui che venderemo le sigarette”. Il paese era la Cina e nel 1890 i Duke esportarono le prime sigarette nella popolosa nazione asiatica.
La British-American Tobacco Company Limited fu tra le prime aziende che introdussero le sigarette in Cina. La sua fabbrica nel distretto di Pudong a Shanghai nel 1919 produceva più di 243 milioni di sigarette a SETTIMANA.

Negli ultimi quindici anni dell’Ottocento il numero di fumatori negli Stati Uniti quadruplicò.
All’epoca non si sospettava che le sigarette fossero dannose per la salute e gli unici movimenti che si opponevano al diffondersi del fumo erano legati a preoccupazioni morali, soprattutto a causa del consumo di sigarette tra donne e bambini.
Durante i due conflitti mondiali, la pubblicità e l’industria (anche quella del cinema) unirono le forze e raggiunsero il massimo della propaganda per le sigarette, producendo danni incalcolabili alla salute di militari e civili.
La sigaretta emerge dalla prima guerra mondiale come un elemento centrale nella cultura materiale negli Stati Uniti e in altri paesi belligeranti, come l’Italia, in cui il consumo di sigarette arrivò a superare i 4,6 miliardi all’anno: circa 100 sigarette per persona. L’abitudine al fumo persistette inesorabilmente tra gli uomini tornati alla vita civile che avevano imparato a fumare nelle trincee ed erano dipendenti dal fumo.
Oltre alla pubblicità diretta, l’industria del tabacco usò un’altra giovane industria: quella cinematografica. Il fumo divenne un comportamento associato ai personaggi più affascinanti e alle scene più coinvolgenti dei film e successivamente della televisione. Furono messi a punto sistemi per la pubblicità occulta come il posizionamento di prodotto ed altri metodi nelle scene degli spettacoli, promozioni e sponsorizzazioni. L’industria cominciò a usare eventi e marchi sportivi e si insinuò nelle tendenze della moda e del costume. Fumare diventa normale, stare in ambienti in cui le persone fumano è normale: al cinema, al bar, nelle sale da ballo, nelle riunioni, nei luoghi di lavoro, in ascensore, in casa, in ospedale, per strada e così via.

In Italia, la relazione tra fascismo e fumo di sigarette fu di basso profilo: Mussolini non fuma e fa riferimento al fumo come un’abitudine non adatta all’uomo nuovo fascista, ciononostante la coltivazione del tabacco è una delle principali attività agricole, promossa anche nelle colonie africane. Nel 1934, l’Italia segue prontamente l’esempio britannico e promulga il divieto di vendita e somministrazione di tabacco ai minori di 16 anni, ai quali è vietato anche di fumare nei luoghi pubblici (RD 2136 TU leggi protezione assistenza maternità e infanzia). Tuttavia, l’Italia non si allinea alle posizioni del Nazismo che conduce un’intensa campagna antitabacco con motivazioni salutiste. Fumare in Italia è più che tollerato: negli anni Trenta e Quaranta, almeno il 50% degli uomini fuma mentre tra le donne il consumo di sigarette è occasionale: solo il 2-3% delle donne fuma. In base ai dati Istat, è stato stimato retrospettivamente che la prevalenza di fumatori tra gli uomini aumenta rapidamente fino alla generazione nata negli anni 1920-1929 (68% di fumatori nel 1960), per poi declinare lentamente nelle generazioni successive.

Nel 1942 viene adottata la disciplina in materia di contrabbando con la legge 907 su monopolio dei sali e dei tabacchi.
La sigaretta conferma la sua fortuna anche nella seconda guerra mondiale, e nel 1950 arriva a coprire oltre l’80% del mercato del tabacco negli Stati Uniti. Dopo la guerra gli USA lanciano un piano straordinario per l’Europa: l’European recovery program, meglio conosciuto come Piano Marshall, che comportò per l’Italia aiuti per oltre 1500 milioni di dollari. Il piano comprendeva una partecipazione dei produttori americani di tabacco, aprendo il mercato europeo alle esportazioni di sigarette americane. Nel 1950 in Italia il consumo pro-capite è oramai decuplicato (circa mille sigarette all’anno per persona) ma, sulla base di indagini con interviste, si stima che la quantità effettivamente consumata potrebbe essere stata anche il doppio di quella venduta legalmente.
Il fumo ed il tabacco continuarono ad essere popolari fino al 1950, quando il Dottor Ernst L. Wynder dimostrò che il fumo causava tumori maligni nei topi. E il resto, come si suol dire, è storia.