IL DRAMMA DELL’ESODO DEGLI ISTRIANI E DALMATI


Finita la Seconda Guerra Mondiale, al termine di discussioni durate circa 3 mesi, le Potenze Alleate stabilirono i termini della pace mondiale e il futuro assetto geopolitico internazionale, tra sanzioni finanziarie e militari imposte ai Paesi sconfitti e una nuova definizione dei confini territoriali che riguardarono direttamente anche l’Italia.
La mattina del 10 febbraio 1947, nella Sala dell’Orologio del Quai d’Orsay, a Parigi, Alcide De Gasperi non riuscì a convincere l’uditorio con la sua tesi: che cioè le responsabilità dell’uomo che aveva voluto la guerra andavano separate da quello del popolo che nell’ultimo biennio del conflitto si era battuto a fianco degli Alleati.
Il ruolo di “cobelligerante” non aveva tuttavia cancellato l’astio che alcune nazioni vincitrici, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Jugoslavia, nutrivano verso l’Italia.
l’Italia era rimasta per molti la nazione «colpevole» di aver trascinato il mondo in guerra, insieme a una Germania che alla Conferenza di Pace non presenziò neppure, in quanto integralmente occupata e quindi non riconosciuta come soggetto i diritto internazionale.
In termini economici all’Italia vennero imposte riparazioni per un totale di 360 milioni di dollari, da ripartirsi tra i paesi vincitori e le ex colonie italiane, con la successiva rinuncia alla propria quota di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Sul piano militare le forze dell’Esercito, dell’Aviazione e della Marina vennero ridotte a 300 mila unità, limitati a 350 gli aerei e drasticamente ridimensionato il tonnellaggio navale, con l’obbligo di mettere a disposizione delle nazioni vincitrici un ingente numero di unità navali da combattimento.
Ma il boccone più amaro da digerire — e il vero fulcro delle trattative di Parigi — fu quello territoriale, con l’Italia costretta a cedere sul fronte orientale accettando la divisione in due zone di Trieste e il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia, la cessione ai francesi di zone delle Alpi marittime sul fronte occidentale, e la rinuncia ai possedimenti territoriali in Albania, Libia, Eritrea e nel Dodecaneso, mantenendo soltanto l’amministrazione fiduciaria della Somalia per un decennio.
A pagare il prezzo più alto di questo nuovo assetto territoriale fu ancora una volta la popolazione civile, in particolare lungo il confine orientale della Venezia Giulia, dove la contesa tra Italia e Jugoslavia – e in più in generale tra blocco occidentale e sovietico – si risolse con un compromesso suggerito dai francesi, ovvero la creazione del Territorio Libero di Trieste, suddiviso in una zona A a prevalenza italiana, affidata all’amministrazione anglo-americana — fino al ’54 — e una zona B a prevalenza slovena, a est di Trieste e comprendente l’Istria, affidata all’amministrazione jugoslava e al governo del maresciallo Tito.
All’Italia fu tolta definitivamente gran parte dell’Istria, Zara in Dalmazia, la città di Fiume e le isole di Cherso e Lussino a favore della Jugoslavia: è l’atto d’inizio di quello che sarà poi l’esodo di migliaia di italiani.
L’eccezionale fenomeno migratorio, non ufficializzato da un preciso decreto di espulsione, fu definito un vero e proprio esodo, che coinvolse un intero popolo, ogni gruppo sociale e non un semplice insieme frammentato di individui.
350.000 italiani furono costretti ad abbandonare le proprie terre e imbarcarsi su traghetti di fortuna per non morire.
Improvvisamente l’Istria, Fiume e la Dalmazia furono oscurate dall’ombra di un destino incerto.

La gente era bloccata dalla paura dei rastrellamenti improvvisi da parte dell’esercito di Tito, delle vendette e delle notizie terrificanti che cominciavano a filtrare di infoibamenti, affogamenti e fucilazioni.
In pochi anni vennero sradicate tradizioni secolari e stravolta la complessa identità di un territorio di 7650 chilometri quadrati con una popolazione di circa 495.000 persone.
Le violenze e i soprusi degli jugoslavi nei confronti degli italiani, dettati sia da motivi di vendetta sia da motivazioni ideologiche, crearono il clima per l’abbandono delle terre adriatiche di decine di migliaia di nostri connazionali.

Una Commissione Speciale fu inviata nella Venezia Giulia per rendersi conto della situazione e del volere della popolazione.
La Commissione però non conosceva il territorio e finì quindi inevitabilmente in zone che non erano in contestazione.
Tutte le aree da visitare erano già sotto l’amministrazione jugoslava che organizzò una campagna martellante per dimostrare che tutto il territorio era slavo fino all’Isonzo, cosa ovviamente non vera, ma nei Comuni furono asportate le effigi del Leone di San Marco, antichissimo simbolo della Repubblica veneta, che dimostrava l’italianità di quelle terre.
Furono modificati i cognomi riducendoli in forma slava, alterandoli perfino sulle lapidi nei cimiteri, vennero distribuite nuove carte d’identità e asportati registri anagrafici e parrocchiali.

Le città cominciarono a svuotarsi, ed è importante ricordare che in Istria erano presenti il 58,2% di italiani, il 37,6% di slavi e il 4,2% di altre etnie.
Gli italiani erano concentrati nelle città e da Fiume fuggirono 54.000 su 60.000 abitanti, da Pola 32.000 su 34.000, da Zara 20.000 su 22.000, da Capodistria 14.000 su 15.000.
Soltanto l’esodo degli abitanti da Pola si svolse sotto la protezione inglese con navi italiane, mentre tutti gli altri istriani, fiumani e dalmati dovettero abbandonare le loro case e i loro averi sotto il controllo dei partigiani slavi.

Ma le fughe drammatiche, di giorno e di notte, fra le doline del Carso, fughe verso la libertà che molto spesso si concludevano con una raffica di mitra, con lo scoppio di una mina o sul filo spinato, non furono l’unico esodo cui i profughi furono costretti a ricorrere come via di salvezza.
Il governo italiano, infatti, non rendendosi conto del perché tanta gente si rifiutava di restare sotto un’amministrazione jugoslava vincitrice preferendovi un’Italia sconfitta e distrutta, suggerì la dispersione dei profughi che furono così suddivisi in 109 campi di raccolta disseminati in tutte le regioni.
E così circa 80.000 profughi che erano fuggiti in Italia per restare italiani, presero la via dell’esilio per la seconda volta verso Australia, Brasile, Argentina, Sudafrica, Canada, Francia, Germania, Inghilterra, Perù, Cile e Stati Uniti d’America.

Solo nel 2004 il Parlamento Italiano, dopo decenni di oblio, ha approvato la legge di istituzione della “Giornata del ricordo”, il 10 Febbraio, restituendo così dignità alla memoria delle migliaia di italiani trucidati barbaramente sul confine orientale e dei 350.000 connazionali costretti all’esilio dalle terre natie di Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla repressione dei partigiani del Maresciallo Tito e alla sistematica pulizia etnica attuata nei confronti dei cittadini italiani.
#appuntidistoria #lastoriapertutti #photostoria