STORIA DELL'IMPERO ROMANO

La storia dell’Impero Romano è molto vasta, parte intorno al 759 a.C fino al IV-V sec d.C.
Vi sono 3 momenti fondamentali:
1. “Età Monarchica”: dalla fondazione di Roma (750 a.C.) fino al 509 a.C.
2. “Periodo Repubblicano”: dal 509 fino al 30 a.C. (battaglia di Azio, dove Ottaviano sconfigge avversari e mette fine alla repubblica e passa all’impero);

3. “Periodo Imperiale”: 30 a.C. fino al 476 d.C. con la deposizione dell’ultimo imperatore (Romolo Augustolo)

LA MONARCHIA E LA STRUTTURA DELLA SOCIETÀ ROMANA

Secondo la leggenda, Roma fu fondata da Romolo nel 753 a. C.
In realtà la città nacque dalla lenta fusione di alcuni villaggi, che si unirono sotto l’autorità di un unico Rex.
I patrizi (i nobili) e i plebei (la plebe, il popolo) erano le due classi sociali in cui era divisa la società romana. Occupavano ruoli di potere grazie alla loro appartenenza a famiglie antiche (gentes, plurale del sostantivo della III declinazione gens), ricche e nobili e al fatto che si credevano in grado di interpretare la volontà degli dei.
I componenti più anziani di ogni famiglia patrizia costituivano il Senato, che aveva il compito di assistere il Rex nell’esercizio del potere politico e legislativo (aveva la funzione di approvare le
leggi). I plebei spesso divenivano “clienti” dei patrizi, si ponevano cioè alle dipendenze di un nobile
offrendogli servizi e obbedienza in cambio di protezione e assistenza economica.
Un gradino al di sotto dei plebei vi erano gli schiavi, coloro che per vari motivi erano privi della loro libertà personale ( come i prigionieri di guerra). Gli schiavi potevano essere affrancati dai padroni diventando così cittadini liberi (privati, plurale del sostantivo della II declinazione privatus) e acquisendo la condizione di liberti.

Gli alleati (socii, dal sostantivo della II declinazione socius) dovevano a garantire a Roma sia un contributo militare (navi e soldati) che economico (tributi).
Agli alleati latini, tuttavia, era riconosciuto il diritto di poter avere degli scambi commerciali e in seguito e potersi unire in matrimonio con cittadini romani.
I municipi erano comunità fondate in varie parti della penisola, che avevano maggiori o minori diritti. Questa organizzazione, che si fondava diritti e doveri, privilegi e restrizioni diversi a seconda del contesto, aveva lo scopo di integrare i popoli conquistati in un dominio unitario.

 

LE GUERRE PUNICHE (264-146 a. C.)

Prima guerra punica

Conquistati i territori dell’Italia meridionale, Roma puntò alla conquista della Sicilia, sbarcando con le proprie navi nello stretto di Messina ( 264 a. C.). A questo punto diventò inevitabile lo scontro con Cartagine, la potente città fenicia dell’Africa settentrionale che aveva importanti scali commerciali in Sicilia.
Lo sbarco dei Romani in Sicilia portò allo scoppio della Prima guerra punica (Punicus in latino vuol dire “Cartaginese”), in cui i Romani, che si dotarono in breve tempo di una flotta in grado di tenere testa a quella cartaginese, ebbero la meglio nelle decisive battaglie a capo Ecnomo (256) e alle isole Egadi (241). Il dominio romano si estese così dalla Sicilia anche alla Sardegna e la Corsica.
La sconfitta aprì una fase di crisi politica a Cartagine, che vide opposte le fazioni degli espansionisti (coloro che volevano riprendere il conflitto con i Romani) e dei pacifisti (coloro che invece ritenevano più saggio proteggere i domini nei territori circostanti). Ad imporsi fu la fazione espansionista, che aspettava il momento buono per riaprire il conflitto e riprendere possesso così dei domini perduto.

Seconda guerra punica

Il pretesto di guerra (casus belli) non venne però dai Cartaginesi, ma dagli stessi Romani che attaccarono la città di Sagunto, violando così il trattato dell’Ebro, che stabiliva il confine tra i domini delle due forze rivali. Il protagonista del conflitto fu il generale cartaginese Annibale Barca, che, dopo aver attraversato la Spagna, varcò le Alpi e portò la guerra nel cuore dell’Italia, nell’intento di formare a una lega antiromana insieme ai popoli italici.
E tuttavia, nonostante le gravissime sconfitte subite dai Romani (su tutte quella di Canne), l’organizzazione che Roma aveva dato ai suoi domini in Italia si mostrò in grado di reggere: la maggior parte degli alleati decisero di rimanere fedeli a Roma, fornendo un contributo decisivo per la vittoria finale. Ma il vero protagonista di parte romana fu Publio Cornelio Scipione (che sarà poi detto l’Africano), il quale decise di portare la guerra in Spagna e di assediare le mura di Cartagine, in Africa. Annibale fu costretto a lasciare l’Italia per correre in aiuto della patria, ma fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Zama.
Le condizioni di pace furono durissime: oltre alla rinuncia ai domini nella penisola iberica, a Cartagine fu imposta la consegna della flotta e il pagamento un forte tributo; inoltre, non avrebbe potuto dichiarare guerra senza il permesso dei Romani.
Le ragioni della sconfitta di Cartagine furono da un lato la superiorità, non solo militare ma per così dire “morale”, degli eserciti romani (composti da cittadini-soldati, animati da un forte senso di appartenenza comune) rispetto a quelli cartaginesi (formati soprattutto da mercenari, cioè da soldati che combattevano a pagamento); dall’altro la fedeltà dei socii, che fornirono un contributo essenziale per le sorti del conflitto.
I territori conquistati durante le guerre puniche non furono dichiarati “alleati” dei Romani, ma furono ridotti (dal latino reducere), cioè trasformati in province. I loro abitanti divennero sudditi di Roma e furono costretti a versare dei tributi. A capo delle province fu posto un magistrato romano (proconsole).

 

LO SCENARIO POLITICO

Sconfitta Cartagine, nessuna potenza sembrava più in grado di fermare l’espansione romana.
Alla prima serie di province si aggiunsero la Macedonia, la Siria e soprattutto la Grecia (146 a. C.), che in quel periodo era ancora il centro della cultura occidentale e fornì un modello di riferimento per la filosofia e la letteratura latina. Sempre nel 146, il ritorno sulla scena di Cartagine portò alla distruzione della città fenicia, il cui territorio fu ridotto a provincia romana. In poco più di un secolo, Roma si trovò ad essere una repubblica al suo interno e un impero all’esterno.
I successi militari avevano portato alla Repubblica una grande quantità di ricchezze, dovute in buona parte allo sfruttamento economico delle province e all’apertura di nuove rotte commerciali nel Mediterraneo.
A trarre vantaggio da questo nuovo scenario fu sia la classe dei senatori (a cui bisognava appartenere per essere eletti proconsoli e governatori), sia quella, in forte ascesa, dei cavalieri (equites), che si erano arricchiti grazie ai commerci con le province.
Al contrario, la plebe aveva subito le conseguenze di una lunga stagione di conflitti: molti piccoli proprietari erano infatti rimasti senza terra, contraendo dei debiti che non erano in grado di estinguere.  Questo portò a una situazione di forte malcontento sociale, in cui si vennero a creare due fazioni politiche che muovevano da idee e obiettivi contrapposti.
Da un lato, gli optimates miravano a difendere i privilegi della nobilitas e a impedire agli equites l’accesso al Senato; mentre dall’altro i populares intendevano porre fine alla diseguaglianza sociale.
Il punto cardine del loro “programma” era una riforma agraria che avrebbe assegnato ai più poveri i territori di proprietà della Repubblica.
Si schierarono con i populares i fratelli Tiberio Gracco e Caio Gracco, due giovani nobili che si fecero eleggere a distanza di pochi anni tribuni della plebe.
Entrambi cercarono di farsi promotori di una serie di iniziative (tra cui, oltre alla riforma agraria, c’era anche la legge che avrebbe permesso ai cavalieri di accedere al Senato), ottenendo un vasto consenso popolare. Si trovarono però di fronte alla violenta reazione degli optimates: lo scontro tra le due parti portò Roma sull’orlo della guerra civile. L’esperienza dei due Gracchi si concluse in modo tragico, con la morte per assassinio politico del primo (nel 133 a. C.) e per suicidio del secondo (121 a. C.).

CRISI E FINE DELLA REPUBBLICA (120-31 d. C.)

Nel I secolo a. C si apre dunque una fase di crisi delle istituzioni repubblicane che porterà alla fine della Repubblica e alla nascita dell’Impero.
La crisi fu dovuta principalmente dovuta al conflitto sociale tra optimates e populares e al problema della concessione della cittadinanza (civitas) agli italici (vedi sopra: le popolazioni italiane sotto il dominio di Roma): questi, infatti, fornivano uomini, navi e risorse economiche e avevano avuto una parte fondamentale nei successi militari dei Romani. Chiedevano pertanto di ottenere la civitas cum suffragio (cittadinanza con diritto di voto) nonché altri privilegi che avrebbero reso più equo il rapporto con Roma.

Mario vs Silla

Un altro fattore decisivo nel determinare la crisi fu la riforma dell’esercito voluta da Mario, un grande generale che si era affermato anche come leader dei populares. Per togliere dalla miseria la plebe romana Mario cambiò la composizione delle legioni, che per la prima volta furono composte anche dai nullatenenti.
Allo stesso tempo l’arruolamento nell’esercito non fu più obbligatorio ma volontario; mentre il servizio militare fu regolato da un compenso e da un numero di anni di permanenza: diventò, insomma, una carriera professionale a tutti gli effetti.
Le conseguenze furono immediate, e portarono dei grandi cambiamenti: i soldati videro infatti la guerra unicamente come un mezzo per arricchirsi e si legarono con un rapporto di fedeltà al loro generale, facendo dell’esercito repubblicano un insieme di milizie private. Questo accrebbe di molto l’autorità e il prestigio dei generali, a scapito del Senato e della nobilitas.
Mario fu il primo ad approfittarne, ponendosi alla guida dell’esercito in vittoriose spedizioni, dentro e fuori d’Italia (su tutte: la guerra contro Giugurta, re della Numidia; la guerra sociale che oppose Roma agli alleati italici che rivendicavano l’autonomia).
Il grande consenso di cui godeva spostò il potere politico nelle mani dei populares.
A Mario, però, si oppose Silla, uno dei suoi luogotenenti nonché il leader del partito aristocratico, che aveva avuto un ruolo decisivo nella guerra contro gli italici. Ne scaturì un conflitto civile (88-82 a. C.), che vide il successo di Silla (anche grazie alla morte di Mario nell’86 a. VC), il quale nell’82 si fece nominare dittatore a tempo indeterminato e approvò una serie di leggi per limitare il potere dell’esercito e restituire autorità al Senato.

Da Silla a Pompeo (79 -60 a. C.)

In modo del tutto inatteso, Silla si ritirò dall’attività politica dopo soli tre anni, nel 79 a. C. La sua uscita di scena fece peggiorare nuovamente la situazione, riaprendo il conflitto tra il Senato e l’esercito.
Il personaggio politico più importante di questa fase fu Pompeo, un ex generale dell’esercito di Silla il cui prestigio si doveva ad importanti successi militari in Spagna e in Oriente e che poteva contare sull’appoggio dell’esercito e dei populares. Fu tuttavia proprio il suo grande potere personale a motivare l’ostilità degli optimates, che non volevano l’avvento di un’altra dittatura. Davanti al rischio di un nuovo conflitto civile, Pompeo scelse la strada della mediazione, stipulando nel 60 a. C. un accordo privato con gli altri due protagonisti della scena politica, i generali Marco Licinio Crasso e Giulio Cesare, un nobile appartenente all’antica gens Iulia e schierato con i populares.
L’accordo prese il nome di triumvirato (“siglato da tre uomini” da vir, viri).

Dal triumvirato alla guerra civile tra Pompeo e Cesare (58-45 a. C.)

Pompeo e Cesare ambivano entrambi ad avere il controllo della politica romana: era dunque
inevitabile che fra entrambi nascesse una forte rivalità.
La strategia di Cesare fu quella di farsi assegnare il comando delle legioni stanziate in Gallia, un territorio abitato in buona parte da popolazioni di origine celtica che fino ad allora avevano resistito alle mire espansionistiche di Roma. Seppure non autorizzato dal Senato, Cesare seppe sfruttare a suo vantaggio il pretesto della “guerra difensiva” (gli Elvezi avevano aggredito le altre popolazioni galliche, che avevano richiesto l’aiuto dei Romani) per avviare nel 58 a. C. una spedizione militare che si concluse nel 49 a. C., assicurando a Roma il dominio su tutta la Gallia e su parte della Britannia.
L’eco dell’impresa arrivò fino in patria, procurando a Cesare una grande popolarità. Intimoriti dai suoi successi, Pompeo e il Senato decisero di richiamare Cesare a Roma, intimandogli di scegliere tra il comando delle legioni in Gallia e la candidatura al consolato, che gli avrebbe imposto di tornare a Roma come semplice cittadino e non come generale vittorioso (secondo il diritto romano, i militari erano tenuti a dimettersi dall’esercito per essere eletti nelle magistrature).
Cesare decise così di lasciare la Gallia, varcando con l’esercito il confine del Rubicone (un fiume che segnava il confine tra le province italiche e la Gallia Cisalpina) e marciando fino a Roma.
A Pompeo non restò che fuggire in Grecia, organizzando un proprio esercito personale.
Dal 49 al 45 a. C., Roma fu sconvolta dalla guerra civile tra pompeiani e cesariani. La situazione si volse fin da subito a favore di Cesare: l’esercito pompeiano fu sconfitto nella storica battaglia di Farsalo.
Pompeo si diede alla fuga raggiungendo l’Egitto, dove fu fatto uccidere a tradimento.

La dittatura di Cesare (45-44 a. C.)

Cesare era diventato il padrone assoluto di Roma.
Dopo essere stato nominato console per cinque anni, si fece eleggere dittatore a tempo indeterminato e pontefice massimo. Nella sua fulminante carriera accumulò in poco tempo più cariche di quante mai ne avesse avute qualunque uomo politico romano.

Questo gli attirò le resistenze da parte del Senato, che temeva trasformazione della dittatura in monarchia assoluta e, dunque, la perdita di quella libertas che per i Romani aveva un altissimo valore storico e simbolico.
Fu così ordita una congiura che portò al famoso cesaricidio:
il 15 Marzo 44 a. C., Cesare fu assassinato in Senato da Bruto, suo figlio adottivo, e dal pretore Cassio.

Lo scontro tra Antonio e Ottaviano (44-31 a. C.)

Per rimediare al vuoto di potere che si era creato con la morte di Cesare, si ricorse all’istituzione nel 43 a. C. di un altro triumvirato – il secondo -, formato da Marco Antonio (uno dei più autorevoli generali di Cesare), Ottaviano (figlio adottivo di Cesare) e Lepido, un altro generale cesariano che però fu presto relegato ai margini.
A contendersi la scena furono Antonio e Ottaviano: il primo ebbe il controllo delle province orientali, mentre il secondo dell’Italia e delle province occidentali.
Malgrado la giovane età (al tempo era poco più che ventenne), Ottaviano era riuscito a costruire una rete di relazioni importanti e a mettere su un esercito privato che gli avevano garantito un grande potere personale.
Il conflitto si consumò definitivamente quando Antonio, nel 34 a. C., ripudiò la moglie Ottavia, sorella di Ottaviano, per unirsi con la regina d’Egitto Cleopatra, da cui ebbe tre figli i quali furono proclamati, insieme a Cesarione, il figlio che la regina aveva avuto da Giulio Cesare, eredi dei domini orientali dell’Impero.
Grazie allo scandalo suscitato a Roma dalla relazione, a cui si aggiungevano le palesi ambizioni “imperiali” di Antonio, Ottaviano ebbe vita facile a convincere il Senato a dichiarare guerra contro Cleopatra. Scoppiò così la guerra egizia, che iniziò nel 32 a. C. e si concluse l’anno dopo con la battaglia di Azio, dove si ebbe il successo di Ottaviano sulla flotta allestita da Antonio e dalla regina d’Egitto Cleopatra, che si tolsero la vita.

IL PRINCIPATO DI AUGUSTO (27 a. C. – 14 d. C.)

Padrone incontrastato della scena, Ottaviano si fece proclamare Princeps Senatus (cioè “primo tra i senatori”) e Cesare Augusto (Augustus ovvero “venerabile”, “colui che aumenta il benessere dei suoi cittadini” dal verbo latino augeo, “aumento, accresco” ).
Era una svolta che in realtà proseguiva la linea politica di Cesare, con l’accentramento di tutti i poteri nelle mani di un solo uomo: questa volta, però, il Senato appoggiò l’operato di Augusto, che si poneva come garante della pax, di una nuova stagione di pace che avrebbe messo fine a un secolo di guerre civili.
La Repubblica era ormai diventata una monarchia, il cui dominio si estendeva su tutto il Mediterraneo e su una parte dell’Oriente.
Dal 23 al 12 a. C., Augusto fu proclamato comandante supremo dell’esercito, tribuno della plebe e pontefice massimo.
Per evitare tuttavia di suscitare nuove tensioni, Augusto governò con prudenza, attuando una politica di equilibrio tra i poteri che privilegiò in eguale misura sia i senatori che i cavalieri.
Per amministrare un Impero tanto vasto, Augusto approvò una nuova organizzazione delle province, che furono divise in due tipi, senatorie e imperiali; rafforzò inoltre i confini sul Reno e sul Danubio, senza impegnarsi in guerre di conquista.
Promosse una importante riforma dell’esercito, concedendo ai veterani delle terre e una ricompensa in denaro alla fine del servizio militare.
Per limitare il potere dei generali, spostò frequentemente gli ufficiali da un reparto all’altro, in modo che tra loro e le milizie non si creasse nessun rapporto di fedeltà.
La Pax Augustea fu il punto di avvio della “romanizzazione” della civiltà mediterranea, con la diffusione internazionale della lingua e della cultura latina che per il momento si affiancò a quella greca.
Decisiva fu, in tal senso, l’opera di propaganda culturale che Augusto compì grazie alla
mediazione di Mecenate (uno dei suoi più stretti collaboratori), il quale promosse l’attività di
grandi poeti come Virgilio, Orazio e Ovidio. L’Eneide di Virgilio fu il grande poema che, fondendo i due modelli greci dell’Iliade e dell’Odissea, celebrò le origini della grandezza di Roma.

 

 

GLI IMPERATORI ADOTTIVI

 

All’inizio del II secolo divenne costume che gli Imperatori nominassero in vita un successore capace e degno, legittimandolo tramite l’adozione.

Traiano, adottato dal predecessore Nerva, fu il primo dei cosiddetti Imperatori adottivi.
Le sue campagne militari contro i Daci e i Parti portarono l’Impero, nel 117, alla massima espansione. I successori Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio adottarono una politica estera prevalentemente difensiva, ispirati dalla filosofia greca, tesa alla pace e alla giustizia.

A Marco Aurelio successe nel 180 il figlio Commodo. L’assassinio di Commodo scatenò nel 192 una guerra civile per la successione.

 

 

ROMA: CRISTIANESIMO E DIVISIONE:

305/476 d.C.

Nel IV secolo l’impero l’Impero si trovò più volte diviso, finchè nelle lotte per il potere prevalse Costantino il Grande.
Costantino favorì apertamente il Cristianesimo che aveva già trovato un gran numero di seguaci e che egli trasformò in religione dello Stato, pur preservando alcuni elementi pagani.
Alla sua morte seguirono nuove lotte per il trono fino al 395, quando l’Impero fu definitivamente diviso tra Occidente e Oriente.
Nel V secolo l’Imperatore dovette consentire l’insediamento di gruppi Germanici entro i confini.
Questa circostanza, unita ai conflitti interni e al costo economico del mantenimento di un esercito non mercenario, finì per portare alla rovina l’Impero Romano d’Occidente.

LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE

 

Alla fine del IV secolo, sotto la spinta degli Unni – popolazioni turco-mongoliche – i barbari avanzarono verso Occidente per ondate successive: in un primo tempo i nomadi iranici, Sarmati e Alani, poi i Goti.
Nel 376 il popolo visigoto domandò asilo all’Imperatore Valente e varcò il Danubio.
Due anni più tardi, la cavalleria dei Goti sconfisse l’esercito romano ad Adrianopoli e Valente venne ucciso.
I Visigoti si espansero nell’Impero e saccheggiarono Roma nel 410.
La caduta della Città Eterna provocò sbigottimento: Agostino rassicurò i Cristiani scrivendo il “De civitate Dei”.
I Visigoti finirono per installarsi, con l’autorizzazione imperiale, nel Sud della Gallia e in Spagna.
Sotto il comando di Genserico, i Vandali continuarono la loro avanzata fino in Africa.
Impadronitosi di Cartagine, il grande porto esportatore di grano, il Re Genserico perseguitò i Cattolici.

Gli Unni di Attila, installati nel bacino del Danubio, invasero l’Occidente nel 451.

Non riuscirono però a impadronirsi di Parigi né di Orleans, e vennero infine sconfitti da Ezio e dalle sue truppe romane e gote ai Campi Catalunici, nei pressi di Troyes.
L’anno successivo, Attila tentò di invadere l’Italia, ma rinunciò ad avanzare più a Sud di Mantova, saccheggiando comunque città come Aquilieia, Padova e Milano.

Nella seconda metà del secolo, gli Stati barbari si diedero un’organizzazione:

I Burgundi si installarono tra Langres e Avignone, in Sapaudia (termine che darà poi origine a «Savoia»).
Gli Angli, gli Juti e i Sassoni invasero la Bretagna e respinsero i Celti verso Occidente.
I Visigoti estesero il loro dominio dalla Loira fino al Sud della Spagna.
Nel 455 la città di Roma fu definitivamente saccheggiata dai Vandali.

NEL 476 ODOACRE, RE DEGLI ERULI, DEPOSE L’ULTIMO IMPERATORE D’OCCIDENTE ROMOLO AUGUSTOLO E ASSUNSE IL TITOLO DI RE D’ITALIA.

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