GLI ETRUSCHI E I POPOLI ITALICI

L’Italia è un mosaico di popoli di origine orientale e di origine indoeuropea

Tra il IV e il II millennio a.C.  con molto ritardo rispetto ai popoli del Vicino Oriente  i popoli italici erano entrati nell’Età Neolitica, scoprendo prima l’agricoltura, poi la lavorazione dei metalli, e avevano fondato centinaia di villaggi.
Fra questi, i villaggi situati sulla catena delle Alpi e nel Lazio, sulle rive dei laghi di Bolsena e Bracciano, erano montati su palafitte.
Nelle Prealpi, in Valcamonica, viveva invece in luoghi asciutti e sopraelevati il popolo dei Camuni, che ci ha lasciato una straordinaria testimonianza del suo passaggio dallo stadio paleolitico a quello neolitico in 170 000 incisioni rupestri.
Poi vi erano i villaggi della Pianura Padana, chiamati oggi terramare, cioè “terre grasse”, perché i loro resti, ricchi di materie organiche, hanno formato dei tumuli costituiti da terreno fertilissimo.
Le coste adriatiche erano popolate da agricoltori che, attraverso il passo del Brennero, commerciavano ambra, stagno e argento con i Celti del Mar Baltico; nel Meridione i Lucani diedero luogo a una cultura raffinata.
In Sardegna, infine, una società di guerrieri, navigatori e contadini ci ha lasciato circa 7000 nuraghi, torri di diverse dimensioni costruite a scopo di difesa, e centinaia di bronzetti di squisita fattura che testimoniano le multiformi attività delle popolazioni che abitarono l’isola.

I LIGURI

I Liguri sono il popolo italico più antico dell’Italia.
Molte erano le tribù in cui i Liguri si suddividevano: Intimili, Ingauni, Genuates, Apuani, Vagienni, Taurini, Salassi.
L’origine dei Liguri è molto discussa, ma la loro lingua rivela somiglianze con quella degli Iberi e infiltrazioni notevoli di elementi gallici.
Fin dall’antichità i Liguri furono montanari laboriosi e marinai audaci, saccheggiatori, valorosi in guerra; indotti a cercare per tempo le vie della loro espansione sul mare.
Commerciarono coi Fenici, coi Cartaginesi, costruirono i sicuri porti di Nizza, Monaco e Genova.
Nella seconda metà del III sec. a.C., fonti antiche riferiscono del primo scontro diretto con Roma. La crisi divenne evidente quando, durante la seconda guerra punica (218 – 201 a.C.), i Liguri si schierarono apertamente dalla parte di Annibale, contro i Romani e i loro alleati etruschi. Al termine della guerra, Roma concentrò quindi le sue forze contro i Liguri, ormai irriducibili, che ostacolavano la sua politica espansionistica verso l’Italia settentrionale.
I rinvenimenti archeologici confermano il clima d’insicurezza e instabilità che dovette caratterizzare gli anni del conflitto: in Lunigiana, in Versilia e nella Garfagnana, gli abitati liguri, ormai di dimensioni minime e con strutture precarie, si disposero in luoghi arroccati, difficilmente raggiungibili e generalmente protetti da una vetta: i Castellari.
É sicuramente documentata solamente l’ultima fase dei Liguri, quando arroccati nella Lunigiana Antica, si oppongono alla penetrazione romana, che coinvolse anche gli Apuani, i quali non perdettero le caratteristiche di tenacia e di amore alla libertà, che li distinguevano fra le popolazioni italiche, nemmeno quando Roma, dopo dura lotta, li soggiogò (II sec. a.C.).
Il conflitto ebbe termine nel 180 a.C. quando, dopo una sconfitta decisiva, gli Apuani vennero deportati in massa nel Sannio. Solo così si crearono le condizioni per il pieno controllo del territorio, completato con la fondazione delle colonie di Lucca (180 a.C.) e Luni (177 a.C.).
I Liguri furono poi fedeli ai vincitori e, con Caio Mario combatterono i Cimbri (102 a.C. a Aix en Provence) e i Teutoni (101 a.C. presso Vercelli) meritandosi la cittadinanza romana; poterono così attendere ai loro commerci, fiorenti ancora nella tarda età imperiale.

I Liguri che abitavano un vasto territorio dell’Italia nord-occidentale fino a Pisa e l’Appennino settentrionale con il Casentino, erano un mosaico di diverse popolazioni di difficile inquadramento etnico. Sicuramente non erano indoeuropei anche se in seguito subirono fortemente l’influenza celtica, tanto che spesso si usa la definizione di celto-liguri (esempio i Taurini del Piemonte).

 

I CELTI

I Celti arrivano in Europa con la Prima Migrazione Indoeuropea.
L’insieme delle tribù che abitavano la maggior parte dell’Europa formava il popolo dei Celti, che furono poi chiamati Galli dai Romani. La loro lingua faceva parte del gruppo indoeuropeo.
Intorno al 2000 a.C., durante la Prima migrazione, essi si erano trasferiti dalla Russia alle rive del Danubio (dove il fiume attraversa le attuali Austria e Ungheria). Poi da quella zona si erano diffusi fino all’Inghilterra e alla Spagna, popolando tutta l’Europa Occidentale.

Le testimonianze archeologiche ci dicono che la loro organizzazione rimase immobile per circa milletrecento anni, poi crebbe improvvisamente a partire dall’VIII-VII secolo a.C., quando essi entrarono in contatto con i Greci, che li incontravano ormai stabilmente nelle loro colonie, soprattutto in quella di Marsiglia, in Francia.

I Celti erano nomadi, ma, oltre che allevatori, erano anche contadini.
Durante le migrazioni, infatti, individuavano una zona favorevole, vi si trattenevano venti o trent’anni e vi ricavavano terreni coltivabili bruciando ampi tratti di foresta che, per qualche tempo, le ceneri rendevano fertili.
In quelle zone costruivano città fortificate che servivano sia da centri di mercato, sia da sedi di botteghe e officine.
I loro prigionieri di guerra diventavano schiavi, e a essi venivano affidati i lavori pesanti.
Gli artigiani, invece, divennero presto famosi anche fra i Greci (e, contemporaneamente, fra i Romani) per la loro abilità di fabbri e di falegnami.
I Celti vestono come i Persiani, sono guerrieri ma obbediscono ai drùidi più che ai loro re.
Vestivano diversamente dai Greci. Indossavano giubbe lunghe, calzoni attillati, che chiamavano brache, e calzari dalla punta in su, tipico costume persiano. Sebbene insediati in luoghi lontanissimi tra loro, sia Celti che Persiani avevano una comune origine indoeuropea.
La società celtica era una società guerriera, caratterizzata da forti rivalità fra le tribù e da una spiccata tendenza alla razzia e alla rapina.
Si recavano fino al luogo della battaglia su carri a due cavalli, ma durante lo scontro combattevano a piedi buttandosi disordinatamente e di corsa contro il nemico.

 

 

Ogni tribù era comandata in guerra da un re, eletto dai capi delle principali famiglie.
Il re però poteva essere sostituito in qualsiasi momento ed era sottoposto alla superiore autorità della potentissima casta sacerdotale dei drùidi.
Presso il popolo celtico la massima autorità non era rappresentata dai re delle tribù, ma dalla potentissima congregazione dei drùidi, i sacerdoti, il cui nome significa “saggi” o, più precisamente, “coloro che sanno, perché hanno visto” (dalla radice indoeuropea uìd, divenuta ved [ere] nella nostra lingua).
Essi avevano il compito di mantenere i rapporti con i numerosi dèi della loro religione politeista e avevano un tale potere che, senza il loro permesso, i re non potevano neppure prendere la parola.
Per diventare un drùido occorrevano venti anni di studio intenso: bisognava imparare a memoria migliaia e migliaia di formule magiche, avere attitudine per l’osservazione delle stelle e dei fenomeni della natura, per la medicina, per la religione e per la meditazione sulla vita e sulla morte.
Alla fine del tirocinio, alcuni diventavano drùidi veri e propri, cioè mediatori tra i re e gli dèi e loro consiglieri politici e militari; altri diventavano bardi, cioè poeti e narratori delle leggende tribali umane e divine; altri ancora indovini.
I drùidi delle singole tribù eleggevano il drùido di tutto il popolo celtico uno dei loro la cui autorevolezza era ritenuta superiore a quella di qualunque altro essere umano.
La grande saggezza dei drùidi si accompagnava a una totale indifferenza per la vita umana.
Prima di ogni guerra (e le guerre erano frequentissime) essi ordinavano il compimento di terribili sacrifici: si cominciava con gli animali, si proseguiva con gli schiavi, poi con i ladri e gli assassini, ma, se il pericolo aumentava, si arrivava fino ai guerrieri migliori.
Questi omicidi, a quanto possiamo capire, si basavano su due credenze: quando si entrava in guerra, per assicurarsi la vittoria e la vita, bisognava offrire un numero di vittime più o meno uguale alle proprie prevedibili perdite (in pratica un guerriero offriva in sacrificio uno schiavo o un altro uomo qualsiasi in cambio della propria sopravvivenza).
Gli indovini pretendevano di leggere la volontà degli dèi nel sangue che scorreva: di qui la necessità di sgozzare esseri umani in continuazione per tenersi costantemente al corrente delle decisioni divine.

I VENETI

Alcuni gruppi di Veneti si sono stabiliti attorno al XXII secolo prima di Cristo in alcune zone dell’attuale Veneto. I Veneti erano bravi allevatori di cavalli, bravi nella lavorazione di oggetti di bronzo, esperti navigatori di fiumi, di lagune e di mare.
La cultura veneta antica si è sviluppata per circa 1000 anni, dal 1200 a.C. fino a circa al 200 a.C.

I TERRAMARICOLI

 

Il nome Terramaricoli deriva dalle parole terra marna, cioè terra grassa, perché molto fertile.
I Terramaricoli abitavano nella terra che ora è la Val Padana circa 2000 anni a.C.
Inizialmente sui laghi occidentali a nord delle Alpi, poi nell’arco di cinquecento anni si insediano anche nei laghi prealpini.
Questi ultimi si stabilirono inizialmente sul lago di Garda, successivamente si estesero nei dintorni fino a raggiungere il lago di Viverone nel vercellese, ma soprattutto presenti nelle zone di Peschiera, in Val Camonica, a Mantova e in Veneto in particolare.
In quest’ultima regione, l’uomo palafitticolo per motivi che non conosciamo (forse climatici) abbandona la fascia prealpina e trova un rifugio nella pianura veneta.
Gli abitanti di questa ricca cultura palafitticola (Polada) verso il 1200 a.C. (a parte l’insediamento nei pressi della laguna veneta) improvvisamente abbandonano la Pianura Padana e incominciano a scendere la penisola, contribuendo non poco a rinvigorire la Civiltà Appenninica villanoviana autoctona e tutte le altre presenti sulla dorsale appenninica. Portano un particolare tipo di costruzione (detta cultura terramare, villaggi con solide case rettangolari a struttura lignea).
Assistiamo a una grande unificazione culturale (per esempio la ceramica con le stesse caratteristiche la si ritrova, subito dopo questo periodo migratorio, da un capo all’altro della penisola) ma anche a una improvvisa nascita di culture regionali, che pur grande debitrici a quella sopraggiunta, come se possedesse una creatività e una ingegnosità latente da millenni, esplode e diventa subito distinta, con caratteri propri.

I VILLANOVIANI

Il nome Villanoviani deriva dal nome Villanova che era una città vicina alla Bologna di oggi.
I Villanoviani vivevano su un grande territorio che andava dall’Emilia alla Campania tra il IX e il VII secolo a.C.
I Villanoviani abitavano territori ricchi di pascoli e di campi, vicino ai corsi d’acqua, in villaggi di capanne. Le loro capanne erano costruite con mattoni di terracotta ed erano ricoperte con canne di palude.
I Villanoviani erano agricoltori e allevatori, ma si dedicavano anche alla caccia e alla pesca. Sapevano inoltre costruire oggetti di metallo, per esempio attrezzi per coltivare, spade, gioielli.

GLI UMBRI

Molti popoli vivevano nell’Italia centro-meridionale. Alcuni di questi popoli furono gli Umbri, i Piceni, i Sabini, gli Osci, i Sanniti. I due popoli più importanti furono gli Etruschi e i Latini.
Questi popoli erano allevatori e agricoltori. Erano anche popoli guerrieri.

I SICULI

La parte meridionale della penisola era abitata da Iapigi, Messapi, Vituli, BruziLucani. In Sicilia, dal 3000 a.C., abitavano i Sicani. Poi, nel 1400 a.C. circa, arrivarono i Siculi.
I Siculi hanno preso, piano piano, il posto dei Sicani,
Quando i Greci hanno costruito le colonie nell’Italia meridionale e nelle isole, hanno cominciato anche a commerciare con i Siculi e con gli altri popoli del Sud.

I SARDI

Dal 1500 a.C in Sardegna c’erano i Sardi.
Il primo nucleo di abitatori stabili dell’Isola, giunto nell’isola al’inizio del VI Millennio a.C., arrivava dall’Europa, e non dall’Africa o dall’Oriente.
La scoperta è stata possibile grazie a un’analisi del cromosoma Y (quello che determina il sesso maschile) che è stata condotta su un campione di 1200 individui.
Gli scienziati sono così stati in grado di risalire al progenitore comune di chi abita l’Isola, l’Homo Sapiens vissuto 185 mila anni fa.
Il quotidiano “Il Sole 24 ore” di oggi riporta qualche notizia aggiuntiva:
E’ la Sardegna la prima meta delle migrazioni d’Europa. Pubblicata nell’ultimo numero della rivista scientifica “Science” un’analisi dettagliata del Dna del cromosoma Y di 1.200 sardi che fa luce sulla storia evoluzionistica della popolazione isolana e, più in generale, contribuisce a ricostruire le vicende del primo popolamento in Europa, fornendo anche una stima sull’epoca di origine dell’Homo sapiens moderno.
La civiltà dei Sardi si chiama anche civiltà dei nuraghi.
I nuraghi sono torri a forma di tronco di cono (un cono senza la parte in alto, senza la punta), formate da blocchi di pietra e utilizzate come abitazioni, granai, officine o magazzini.
Fino agli inizi degli anni cinquanta l’età Nuragica si presentava, agli studiosi, come un blocco omogeneo scarsamente articolato, con pochi punti di riferimento sicuri, numerose incertezze e non pochi quesiti a cui dare una risposta.
Solo con le campagne di scavo che G. Lilliu condusse, fra il 1949 e il 1956, a Barumini, venivano riscontrati, nel mondo nuragico, momenti storici di vita differenziati ai quali corrispondevano fasi costruttive distinte, precise forme socio – economiche, prodotti artistici e materiale d’uso quotidiano.
Con il termine “civiltà nuragica” si intende il periodo che corrisponde, nel resto del bacino mediterraneo e nell’Europa Occidentale, all’età del Bronzo e all’età del Ferro, termine che non si riferisce ad un preciso soggetto etnico, ma bensì al vistoso e singolare fenomeno architettonico delle torri megalitiche e che in lingua locale antica vengono chiamati nuraghe, nurake, nuraki, nuraci, nuragi, nuraxi.

I nuraghi di cui si ha conoscenza sono più di 7000, per cui mediamente ne esiste uno ogni tre Kmq nell’intero territorio isolano e il loro utilizzo ha ricoperto un periodo di tempo estremamente ampio.

L’architettura costruttiva dei nuraghi, l’impiego della sola pietra senza nessuna malta, le dimensioni megalitiche, la loro diffusione, rivelano l’esistenza di una civiltà avanzata e profondamente amalgamata in tutto il territorio.
E’, presumibilmente, nell’età del “Bronzo Antico” che inizia il processo di amalgama delle tribù protosarde e che comincia il processo di edificazione dei nuraghi.

La grandiosità dei nuraghi ha colpito, al pari di noi moderni, la storiografia antica: Il termine nuraghe è la trasposizione mitologica di NORAX, fondatore di Nora, la città ritenuta più vecchia della Sardegna, che venne con i suoi uomini da Tartasso di Spagna.

LA CIVILTÀ ETRUSCA

 

Gli Etruschi si insediano nell’area tra l’Arno e il Tevere, nell’VIII sec. a.C.
A questo periodo risale anche la prima fase della colonizzazione greca, con l’insediamento dei Calcidesi a Ischia.
Tra l’VIII e il VI sec. a.C. gli Etruschi contendono a Greci e Cartaginesi il controllo delle rotte tirreniche e adriatiche ed estendono il proprio dominio dalla pianura padana alla Campania, fondando centri come Bologna, Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini, Ravenna, oltre che Roma, che la tradizione vuole governata da re etruschi dal 616 al 509 a.C.

Le città etrusche giunsero, come le poleis greche, a costituire leghe, ma non realizzarono mai una unità politica.
La lega più importante era la Dodecapoliunione di dodici città»).
Essa comprendeva i principali centri dell’Etruria marittima (Cerveteri, Veio, Tarquinia, Vulci, Vetulonia, Roselle, Populonia) e dell’Etruria centro-settentrionale (Volsinii, Chiusi, Perugia, Arezzo, Volterra).
Più che politica, la funzione di queste federazioni era religiosa.
La Dodecapoli si riconosceva per esempio nel grande santuario della dea Voltumna, a Volsinii, dove periodicamente si svolgevano feste e giochi comuni.

Le origini degli Etruschi sono state dibattute sin dai tempi più remoti. Lo storico greco Erodoto (che li chiama Tirreni) sostenne la tesi della provenienza via mare dalla Lidia, regione dell’Asia Minore. Altri storici antichi sostennero invece la teoria delle origini autoctone: gli Etruschi sarebbero una popolazione di stirpe italica, che risiedeva nella penisola già dal Neolitico. La tesi che invece si è imposta nella storiografia moderna è quella di gruppi provenienti dal Mediterraneo orientale (Turchia), portatori di una civiltà tecnicamente e culturalmente evoluta, che si insediarono sul substrato della popolazione italica residente. Fusione che diede vita ad una nuova civiltà con caratteri distintivi originali, nata dalla fusione di usi e costumi orientali, villanoviani, e pre-indoeuropei.

La religione etrusca è una religione rivelata. Secondo una leggenda un fanciullo divino (tages) e le sue parole vennero raccolte da un Maestro e trascritte nei libri Tagenici.

Un culto molto importante è quello riservato al mondo dell’oltretomba. Molte statue rappresentano scene di banchetti funebri, le tombe dei nobili erano affrescate.

Grazie a queste conquiste, oltre che a possedere ampi territori riuscirono ad imporre il loro dominio anche su alcune importanti colonie della Magna Grecia, come per esempio Neapolis (Napoli), Cuma, Poseidonia in Campania e Alalia in Corsica.

Dopo aver raggiunto l’apogeo della loro potenza nel 540 a.C. con la vittoria ad Alalia contro i marsigliesi, gli Etruschi cominciarono alla fine del VI secolo un periodo di declino.

Ci furono tre episodi decisivi che sancirono per sempre il futuro di questo popolo: il primo avvenne nel 504 a.C., quando gli Etruschi furono cacciati da Roma; il secondo episodio fu la pesante sconfitta navale subita a Cuma, in Campania, nel 474 a.C. contro una lega di città greche formata per contrastarli; infine nel 423 a.C., appena cinquant’anni più tardi rispetto alla sconfitta di Cuma, gli Etruschi si videro conquistare la ricca e potente città di Capua, una delle più importanti economicamente parlando, dai Sanniti, un popolo che occupava quei territori.

Durante questa fase di declino dovettero fare anche i conti con una nascente potenza, che sarà destinata a diventare uno dei più grandi imperi della storia, Roma, la quale gradualmente cancellò questa civiltà.

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